Migr-Azioni / Transform-Azioni – Boarding Pass

un progetto di Francesca La Cava and Anouscka Brodacz

Relazione curatoriale finale

THE NEW YORK ROOM

curatela di Valeria Orani


Introduzione

Il mio coinvolgimento in questo progetto si innesca in fase preventiva con la mediazione del partner La MaMa Theatre e con la gestione della partnership.
Il primo passo della mia curatela è stato quello di capire l’intento della direzione artistica e le profonde motivazioni che spingono questa ricerca ad approdare a New York.
Nell’accettare questa curatela mi sono posta l’obiettivo di creare un percorso compatibile che restituisse una visione esaustiva dei punti di contatto tra l’oggetto del progetto e la natura caotica e mutevole di una metropoli crocevia di popoli, tradizioni, culture, linguaggi.
Non è stato infatti immediato il tipo di lavoro da affrontare.
Soffermarsi sull’evoluzione delle radici identitarie e studiarne la gentrificazione?
Ma quali radici identitarie tra le miriadi presenti nella città?
Ricercare espressioni coreutiche che riflettessero per esempio lo sradicamento delle danze popolari italiane? Africane? Mediterranee?
Tutto mi sembrava troppo complesso e caotico per poter essere affrontato in una residenza così breve. Il rischio era quello di rimanere nella superfice, in un incipit, non riuscire ad andare oltre questo e allo stesso tempo escludere la possibilità reale di creare effettive connessioni professionali.
Mi sono quindi voluta soffermare su un altro aspetto, anzi, ho voluto creare un percorso ideale che ci desse la possibilità di esplorare non tanto le radici identitarie del passato e la loro trasformazione, quanto l’osservazione di come effettivamente nasca una radice identitaria nuova, contemporanea. Quali sono gli ingredienti antropologici e sociali che costituiscono una nuova identità a sé stante, differente da quelle che fanno parte del nostro bagaglio storico e culturale. Voglio definire questa come l’identità propria di New York City: un lungo e inarrestabile flusso che prende corpo nel melting-pot, nelle proteste, nell’affermazione dei propri diritti, nella rivendicazione della propria identità nel mare magnum delle identità. Sembra un ossimoro, ma ha un senso compiuto molto più profondo di quello che sembra.

Francesca La Cava

Il percorso della ricerca si è immerso nei molteplici significati sociali e urbani e delle influenze che intercorrono tra arti e società in un contesto metropolitano e complesso come quello di New York. Nei pochi giorni a disposizione siamo riusciti a percorrere un flusso dove migrazioni e trasformazioni si intrecciano senza soluzione di continuità catalizzate da altri due elementi portanti e totalmente inscindibili: diversità, inclusione.
L’arte è in un contesto urbano complesso e liberale l’espressione attraverso cui la società è in grado di rivendicare lotte e diritti.
Il corpo è un atto politico e la danza è un mezzo molto potente per poterlo esprimere. L’incontro con Anabella Lenzu ci porta ad esplorare nella New York post-pandemica la consapevolezza del proprio essere, la coreografia come rituale ed esorcismo, ritorno al legame ancestrale e naturale tra il corpo femminile e la vita.

(Anabella Lenzu recording)

O anche come espressione dell’ostentato femminino che nasce dall’ambiente transgender per poi diventare stile e disciplina come nelcaso del vouging e delle sue “Houses” (Eva Boostamove recording)

Anouscka Brodacz

L’arte è strumento mediatico e identitario di New York, forza individuale e al contempo collettiva. È attraverso l’arte che diventa possibile formare quella comunità eterogenea di diversità dove le provenienze culturali sono riuscite ad amalgamarsi, è nell’arte che coincidono le lotte per la libertà e per i diritti. È nell’arte che confluisce la rivoluzione sessuale, il lifestyle, i club.

Antonio Taurino

La visita all’archivio de La MaMa ci ha raccontato in modo chiaro come l’ “underground” di New York sia emerso a realtà concreta e tangibile a partire dalla fine degli anni sessanta nel Village e come le “minorities” abbiano saputo prendere i propri spazi e sovrascrivere la Storia. Tante realtà che avevano un’unica necessità, quella di esprimersi e di esprimere, al di fuori dei circuiti commerciali, alla scoperta di una moltitudine con cui condividere spazi, destini, pensieri. Grazie ad Ellen Stewart, donna mercuriale e curiosa, questo è stato possibile. Serviva un animo coraggioso e noncurante delle regole, serviva saper sognare per dare agli altri la possibilità di sognare altrettanto. È così che il fenomeno delle “cantine” qui a New York assume una potenza che rende inesauribile quella che tra gli anni sessanta e settanta è stata una vera e propria missione sociale: dare casa a chiunque volesse creare attraverso le arti, senza limiti di bello o brutto, utile o inutile, bianco, nero, uomo, donna, gay, trans. Una moltitudine che arrivava a New York da tutti gli Stati Uniti e condivideva case, letti, scantinati, club, droghe, sesso, rock and roll, vita, morte.

Dicevamo arte come strumento mediatico e identitario, ma anche come rituale di vita e di ribellione. Erano gli anni della guerra del Vietnam, i giovani andavano a morire in una guerra che non avrebbero mai capito, erano gli anni in cui opporsi era per moltissimi un dovere, ed erano anni in cui le nuove generazioni delle comunità che in principio erano divise tra simili nei vari quadranti della città (la tendenza delle prime ondate migratorie era quella di aggregarsi per provenienza, e per questo la città era divisa per provenienze), iniziano ad interagire tra loro, ad uscire dai ghetti per costruire attraverso anche le lotte comuni una nuova identità della metropoli.

Richard Move and Valeria Orani

Il ruolo della musica e della danza, in quanto ancora una volta rito, è parte importantissima di questa “rivoluzione”. Liberazione, trasgressione, esorcismo, divertimento, connessione con la propria radice ancestrale che diventa denominatore della comunità stessa in quei luoghi deputati, prima estemporanei poi sempre più grandi, inclusivi, stabili: il club, unica vera “casa” del melting-pot artistico/culturale degli anni 70/90, sino all’arrivo dell’Aids, che interrompe repentinamente questo flusso creativo e stronca vite, sogni, prospettive.

L’incontro finale con Richard Move è stato proprio una riflessione su questi anni di cambiamento, su come si sia trasformata la società di quegli anni e come abbia poi trovato posto nella nuova New York che si presenta oggi sicuramente sempre bella ma non più a misura di chi vuole vivere della propria arte. Con Richard siamo tornate anche ad esplorare il significato di femminile e femminino. Richard, che è stato Martha Graham quasi più di Martha Graham, femminile per eccellenza, “dance of vagina”, ironica e iconica figura delle notti drag New Yorkesi sino ai grandi teatri internazionali, riflette con noi sulle suggestioni che arrivano per esempio dal vouging, una danza transfemminile che esaspera il femminino in una forma tutt’altro che femminile, dove sono gli uomini o le donne trans che insegnano alle donne come danzare sui tacchi, come mostrare le parti del proprio corpo, come posare.

Ancora una volta l’identità New Yorkese passa per l’identità del proprio corpo come strumento espressivo e politico. Ancora una volta il rituale si compie attraverso la danza, toccando radici ancestrali profonde.

(Recording Richard Move)

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